In attesa della conferenza che terrò a il 4 dicembre 2025 dal titolo “Arte come rivelazione dell’invisibile” rifletto sulla forza espressiva e introspettiva di un artista di cui parlerò sicuramente: Mark ROTHKO.
“Penso alle opere di Mark Rothko come se fosse lui ad aver murato le finestre sul mondo per costringerci ad aprire quelle verso noi stessi. Quando nel 1958 inizia a lavorare ai dipinti per il Seagram Building, e poi sceglie di sottrarli a quello spazio, compie un gesto che va oltre la semplice integrità artistica: rifiuta che le sue opere siano viste, perché chiede che siano vissute. Non vuole spettatori, ma partecipanti a un’esperienza sensoriale che esige intimità, silenzio, un faccia a faccia con la tela che diventa faccia a faccia con se stessi.
Mi colpisce il parallelismo, forse non casuale, con le finestre cieche della Biblioteca Laurenziana, a Firenze, di Michelangelo: anche lì lo spazio nega il fuori, si ripiega su se stesso, costringe chi entra a una dimensione meditativa e introspettiva. Rothko opera una chiusura analoga. I suoi rettangoli di colore fluttuante non rappresentano nulla del mondo esterno, non raccontano storie, non offrono appigli narrativi. Sono superfici che respirano, vibrano, ci avvolgono. Sono architetture emotive in cui non si guarda, ma si sta.
Questo è il cuore della sua rivoluzione: Rothko chiede di integrarsi nell’esperienza del colore, di attraversare quelle zone sfumate dove un rosso scuro dialoga con un bordeaux, dove un arancio palpita contro un viola. È immersione totale, partecipazione e contaminazione fisica ed emotiva. È un approccio spirituale, mistico, in cui il colore diventa medium di un confronto con noi stessi: con le emozioni sommerse, con quel disagio esistenziale che convive sempre, nelle sue opere, con un senso di pace sospesa.
Mi chiedo se la scelta di dipingere tele enormi non fosse proprio questo: eliminare ogni distanza di sicurezza, costringerci a entrare nello spazio del quadro, a perderci in esso. Davanti a un Rothko si è soli, irrimediabilmente soli, come davanti a una domanda a cui solo noi possiamo rispondere. E forse è questo il rischio che la sua pittura comporta: accettare di aprire quella finestra interiore e scoprire cosa c’è dall’altra parte. Un atto di coraggio, prima ancora che di visione.”
Alberto Moioli


